Al Frieze di Londra di quest’anno il personale di sicurezza si aggirava per la fiera in uniforme rosa. Era l’opera “Security by Julia”, performance proposta dall’artista americana più di vent’anni fa, e tra le più fotografate dell’evento. La sua prossima mostra “Wonderland” alla galleria Esther Schipper di Berlino inaugura il 14 dicembre

Foto Mathias Schmitt

Da sempre il colore rosa &egrave; considerato la quintessenza della femminilit&agrave;, principio consolidatosi anche grazie alla Barbie, dal 1959 con logo e divisa total pink. Julia Scher lavora su questo stereotipo, portandolo quasi all&rsquo;assurdo, vestendo con uniformi rosa le sue guardie di sicurezza. &laquo;Se negli anni 80 &ldquo;Security by Julia&rdquo; creava una reazione umoristica, oggi si &egrave; andato perdendo il tono ironico della performance. La tecnologia all&rsquo;epoca non era in questione, mentre oggi, se vedi del personale in divisa - anche se vestito di rosa - non ne metti in dubbio l&rsquo;autorit&agrave; perch&eacute; ormai il mondo &egrave; talmente insicuro che la questione si &egrave; spostata dall&rsquo;ironia alla paura&raquo;. Da fine anni 80, Julia Scher &egrave; stata una pioniera nella ricerca artistica sui sistemi di controllo e sorveglianza, riflettendo sul tema non solo in maniera speculativa ma creando degli scenari nei quali far emergere costrutti e dinamiche che spesso non sono percepite come tali perch&eacute; insite nel fare comune. &Egrave; stata tra le prime a usare l&rsquo;internet come strumento artistico a met&agrave; anni 90 con &ldquo;Securityland&rdquo; e a riflettere sullo schermo come mezzo di comunicazione: &laquo;La prima volta che ho usato uno schermo ci voleva mezz&rsquo;ora per il download di un file, ricordo che provavo un piacere indescrivibile nel guardare l&rsquo;immagine scaricarsi e caricarsi, era qualcosa di magico.&nbsp;

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Oggi invece si cerca un godimento immediato delle immagini&raquo;. Nata a Hollywood nel 1954 non &egrave; difficile pensare come l&rsquo;artista sia cresciuta con una passione sfrenata per gli obiettivi e le videocamere, lei stessa racconta di aver subito il fascino degli studi cinematografici della San Fernando Valley dove da un lato sorgevano i grandi lodges in cui venivano costruiti i set e girati i film, e dall&rsquo;altro assemblavano gli aeroplani. La fascinazione per questi luoghi risente anche dalle architetture: &laquo;I magazzini mi hanno sempre affascinata, le persone entravano ma non sapevo bene cosa facessero, da bambine volevamo scoprire cosa c&rsquo;era all&rsquo;interno. Nessun tipo di studio &egrave; mai stato a livello di questi spazi, anche dal punto di vista tecnologico&raquo;. Professore dal 2006 della cattedra in Multimedia and Performance/Surveillant Architectures all&rsquo;Academy of Media Arts di Colonia, Julia Scher ha stabilito il suo primo studio in citt&agrave; nel 2011 e l&igrave; ci &egrave; rimasta per cinque anni.&nbsp;

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&nbsp;Oggi il suo spazio di lavoro &egrave; un edificio d&rsquo;inizio &rsquo;900, che durante la seconda guerra mondiale era adibito all&rsquo;accoglienza di poveri e abbandonati. Bombolette, scatole, foto, libri, videocamere e uniformi dipinte di rosa, assemblate ovunque in un disordine apparentemente ordinato. Della California la Scher ha portato con s&eacute; la luce, mentre dalla sua finestra gode del verde europeo &laquo;impagabile rispetto al deserto di L.A.&raquo;. Da un&rsquo;infanzia passata davanti alla tv ha maturato l&rsquo;idea di sequenza, di taglio e montaggio di spot pubblicitari del quale sente di essere passivo spettatore, senza alcun controllo. Da qui il suo interesse a usare la tecnologia per creare immagini e significati sul controllo e la produzione del sapere, come nel caso dei girati delle camere di sicurezza che in alcuni casi la Scher monta in diretta assieme a materiale pre-registrato. &laquo;Ci&ograve; che mi affascina &egrave; il modo in cui &egrave; possibile produrre lo spazio per un&rsquo;esperienza che combini assieme elementi reali e fittizi. Tutto ci&ograve; ha molto a che vedere con la questione delle fake news esplosa qualche anno fa, ma all&rsquo;epoca il tema non si poneva, lo schermo seduceva chi osservava perch&eacute; permetteva di immaginare il proprio riflesso, l&rsquo;immagine che si ha di s&eacute; e della propria vita. In un certo senso la tv agiva come uno specchio, perch&eacute; guardandola ci si riconosceva.

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Oggi i social media hanno preso il suo posto e hanno a che fare con l&rsquo;istinto ancestrale di godere della propria immagine. Sono pratiche che ci fanno stare bene&raquo;. Se nel passato gli oggetti tecnologici erano progettati per darci piacere, oggi i meccanismi di seduzione si stanno spostando a livello sempre pi&ugrave; intimo, sono meno visibili e pi&ugrave; confortevoli. Come gi&agrave; l&rsquo;artista scriveva nel 1992 nel saggio mai pubblicato &ldquo;The screen as a site of control&rdquo; il design della tecnologia diventa sempre pi&ugrave; morbido e curvo per adattarsi meglio ai nostri corpi. Il tema del controllo nella sfera intima e privata affrontato in opere come &ldquo;Always There&rdquo; (1994) o &ldquo;Surveillance Bed&rdquo; (1995) si &egrave; evoluto con uno studio sul piacere voyeuristico e sul tema della &ldquo;surveillance creep&rdquo;. &laquo;Oggi esiste un gradiente dei privilegi per l&rsquo;accesso ai contenuti su internet, ci sono osservatori con ruoli diversi che partecipano all&rsquo;espansione delle immagini, ma io sono pi&ugrave; timida di prima, non condivido foto personali sul cellulare, e la cosa pi&ugrave; inquietante &egrave; che nessuno ti avvisa dei rischi&raquo;. Per concludere con le parole del direttore del Whitney Museum Adam D. Weinberg, dal catalogo della mostra &ldquo;Astro Noise&rdquo; del 2016: &ldquo;L&rsquo;arte &egrave; una possibile risposta alla sorveglianza totale, non soltanto perch&eacute; la smaschera; caratteristiche dell&rsquo;arte come la casualit&agrave;, l&rsquo;ambiguit&agrave;, l&rsquo;illogicit&agrave;, l&rsquo;anarchia, l&rsquo;imprevedibilit&agrave; e tutte le operazioni incentrate sul caso sfidano i sistemi oppressivi basati sulla struttura e sul controllo&rdquo;.

Nell’azione “Security by Julia” riproposta a Frieze London quest’autunno donne in età matura vestite con uniformi rosa vagano per la fiera interagendo con i visitatori. Giustapponendo l’invisibilità delle donne anziane con la visibilità del personale di sicurezza, così come l’ironia del colore rosa con le connotazioni minacciose della divisa, Julia Scher combina un’analisi dei meccanismi di controllo con la critica femminista.

Julia Scher

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