Da discipline psicofisiche a brand: classi affollate, sequenze “one size” uguali per
tutti, movimenti estremi. Ecco come yoga e Pilates rischiano di perdere efficacia.
Il pericolo numero uno? L’ego: allenarsi per show off e non per “sentirsi” bene

Se a Chicago impazza il Namaste Ros&egrave;, 17,89 dollari per partecipare a una classe di yoga dinamico con finale a base di calici, come &ldquo;extra refreshment&rdquo;, &egrave; disponibile su tutto il globo terraqueo, la possibilit&agrave; di trascorrere 90 minuti in una stanza con temperatura da rettilario, passando da una postura all&rsquo;altra, grondando sudore. Qui l&rsquo;unico liquido di cui si sentir&agrave; il disperato bisogno sar&agrave; l&rsquo;acqua. Ettolitri d&rsquo;acqua. Se invece non volete lasciare il cane a casa, ecco il Doga per condividere il tappetino con il vostro quadrupede. Ma non manca la danceyoga o per i pi&ugrave; arditi, la pi&ugrave; fotogenica delle declinazioni: l&rsquo;acroyoga. Capitanato da avvenenti sirene dell&rsquo;aria che,

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indossati top e shorts, si sfidano a botte di follower su Instagram in posture e sequenze che sembrano ignorare qualsiasi legge fisica e anatomica. L&rsquo;epidemia fusion non risparmia neanche il Pilates: piloga, yogalates, yogilates e qualsiasi altra crasipossibile. Niente di out of bounds naturalmente, ma forse &egrave; arrivato il momento di fare chiarezza se non altro per capire il &ldquo;prodotto benessere&rdquo; al quale si decide di affidare corpo, mente e sistema nervoso. Le Neuroscienze infatti hanno dimostrato come respiro e movimento siano potenti mezzi per influenzare gli stati interni.In altre parole il modo in cui si sceglie di usare il corpo e il respiro ha un impatto diretto non solo sulla salute fisica, ma anche sul funzionamento del cervello e del sistema nervoso autonomo.

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L&rsquo;inarrestabile interesse intorno a queste pratiche, se da un lato le ha fatte conoscere, dall&rsquo;altro le ha trasformate in un business con un giro d&rsquo;affari annuale che supera, tra Stati Uniti e Unione Europea, diversi miliardi di dollari.

Nel Pilates il nome di riferimento &egrave; lui, Joseph Pilates. &laquo;Il metodo &egrave; solo quello e prevede una propedeutica e una gradualit&agrave; precise. Portate avanti da sua moglie e da Romana Kryzanowska con caratteristiche ben definite che non vanno snaturate. Se lo si fa va benissimo, basta per&ograve; non chiamarlo Pilates&raquo;, spiega Enza Arrizza fondatrice e direttrice del The Art of Pilates di Milano. Arrizza introduce poi un ulteriore fondamentale elemento di scelta: verificare il curriculum e il percorso formativo degli insegnanti che deve essere lungo perch&eacute; in questo campo le scorciatoie non esistono. &laquo;Chiedere se &egrave; stato seguito un teacher training, quanto &egrave; durato, se era prevista una selezione iniziale e se sono stati approfonditi temi di anatomia del movimento. Pochi mesi di formazione e un attestato non&nbsp;offrono grandi garanzie&raquo;. Men che meno il numero di fan sui social media.&nbsp;

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&laquo;Spesso si pratica in maniera egotica, in preda alla competizione e non mossi dal desiderio di ascoltare e rispettare se stessi. E ci si fa male&raquo;, spiega Loren Fishman, fisiatra e direttrice del Manhattan Physical Medicine &amp; Rehabilitation

In Italia da dicembre 2017 esiste la norma UNI che certifica conoscenze, abilit&agrave; e competenze degli insegnanti di yoga. Chiara Travisi, dell&rsquo;Iyengar Yoga Institute Milano ha fatto&nbsp;parte del gruppo di lavoro per metterla a punto: &laquo;Insieme alla YANI (Yoga Associazione Nazionale Insegnanti) e alla scuola Statyananda noi dell&rsquo;Iyengar yoga ci siamo impegnati per creare un riferimento ufficiale che definisse la nostra figura professionale&raquo;. E se pu&ograve; far sorridere l&rsquo;idea di un istruttore a norma, come un impianto elettrico, basti sapere che la UNI contempla una formazione di 700 ore e l&rsquo;obbligo di un continuo aggiornamento. Infine attenzione a quello che Loren Fishman, fisiatra e direttrice del Manhattan Physical Medicine &amp; Rehabilitation chiama il &ldquo;risk factor&rdquo; numero uno, l&rsquo;ego: &laquo;Spesso si pratica in maniera egotica, in preda allo show off e alla competizione e non mossi dal desiderio di ascoltare, conoscere e rispettare se stessi. Si forzano i limiti e ci si fa male&raquo;.

Risk Factor

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