&Egrave; chiaro come nel 2017, non ci sia pi&ugrave; un solo modo per essere femministe. Lo si pu&ograve; essere attraverso la fotografia, l&rsquo;arte, il cinema, i libri, i social o attraverso la parola. Parlare, nel senso tradizionale del verbo: usare la voce per condividere la propria esperienza con altre donne, dal vivo, faccia a faccia. Questo &egrave; quello che ha fatto Adwoa Aboah per uscire da una depressione attanagliante e da una dipendenza con la droga che l&rsquo;hanno portata sull&rsquo;orlo del suicidio. Le sue parole raccontano una storia di caduta certo, ma soprattutto la volont&agrave; di rinascere. Adwoa oggi &egrave; parte di quel movimento di denuncia iniziato con Lena Dunham, Arvida Bystrom e Petra Collins che sta ridefinendo i canoni dell&rsquo;essere una donna, prima ancora che una femminista. Una denuncia ogni giorno sempre pi&ugrave; contagiosa e sempre meno contenibile, come appare lampante con il caso di Harvey Weinstein scoppiato in queste settimane e diventato un urlo collettivo grazie all&rsquo;hastag &ldquo;#metoo&rdquo;. Non mi &egrave; sembrato strano che a Settembre Adwoa fosse tra i relatori dei panel alla fiera di Berlino Bread&amp;Butter: il suo volto &egrave; diventato la cover dell&rsquo;edizione 2017 &ldquo;The people shaping the global fashion industry&rdquo; pubblicato da Business of Fashion. Perch&egrave; anche la moda, anche quella sta cambiando. Grazie alla condivisione immediata e al web ha subito una trasformazione epocale, e da fenomeno esclusivo &egrave; passata ad essere sempre pi&ugrave; e pi&ugrave; inclusiva. Lei, attivista, modella ma soprattutto figlia di una delle coppie pi&ugrave; potenti nel mondo della comunicazione, ha usato la sua posizione privilegiata per portare discorsi tab&ugrave; come le malattie mentali, le dipendenze, i disturbi alimentari, anche all&rsquo;interno dell&rsquo;industria dorata e sterilizzata del fashion, che oggi, suo malgrado, deve fare i conti con le questioni della vita di tutti i giorni. Divulgando pubblicamente la sua esperienza Adwoa sta promuovendo la centralit&agrave; del dialogo, del contatto e dell&rsquo;ascolto come prima cura e fondamentale valore dell&rsquo;esistenza. &ldquo;Let&rsquo;s get gurls talking&rdquo;, lasciate parlare le ragazze, &egrave; il mantra di GURLS Talk: uno &ldquo;spazio protetto&rdquo;, una community fondata da Adwoah per offrire attenzione e educazione su temi molto delicati che spesso non trovano ascolto neanche all&rsquo;interno delle famiglie. Lo fa organizzando incontri nel mondo, come quello di quei tre giorni berlinesi a cui erano presenti la dottoressa Lauren Hazzour del gruppo GURLS Talk e la modella transgender Maxim Magnus. Incontri che permettono alle ragazze di aprirsi confrontandosi, oggi, in un&rsquo;epoca governata dalle immagini, in cui il dialogo e il contatto tra persone ritornano ad essere il pi&ugrave; rivoluzionario strumento comunicativo e di guarigione. Adwoa Aboah &egrave; il tassello di un processo in atto che ha liberato un&rsquo;energia gi&agrave; percepibile nell&rsquo;aria. Insieme ad altre donne ci sta presentando un modo di vivere la femminilit&agrave; molto diverso da quello conosciuto sin&rsquo;ora. La libert&agrave; di rifiutare un corpo e una personalit&agrave; rinchiusi in stereotipi, plasmati ad immagine e somiglianza di miti irreali, che ci obbligano ad essere qualcos&rsquo;altro da noi. La libert&agrave; di poter dichiarare le proprie debolezze. In poche parole, la libert&agrave; di parlare.

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Giulia Pivetta

Adwoa Aboah - GURLS Talk per Bread&Butter

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