Da vent’anni la videomaker cinese racconta le dinamiche tecnologiche e sociali del suo paese, con pazienza e poesia. Quest’estate sarà in mostra a Parigi

Nata nel 1978, Cao Fei &egrave; sempre a caccia dell&rsquo;aspetto umano nelle sue opere. Fin dal suo primo video, &ldquo;Imbalance 257&rdquo;, realizzato nel 1999, l&rsquo;artista, originaria di Guangzhou e figlia di un famoso scultore, si avvicina alle comunit&agrave; e alle loro costruzioni. Nel 2004 realizza &ldquo;COSplayers&rdquo;, incontro con i giovani che impersonano e si vestono come i personaggi dei videogiochi. Per &ldquo;i.Mirror&rdquo; (2007) e &ldquo;RMB City&rdquo; (2007-2011), esplora l&rsquo;universo virtuale di Second Life. Documenta le esperienze del suo avatar e alter ego artistico China Tracy, costruisce una citt&agrave; di pixel ed esplora i limiti del mondo fisico e digitale. Dopo che i suoi lavori sono stati esposti nelle pi&ugrave; prestigiose istituzioni artistiche del mondo - Guggenheim, Met di New York, Biennale di Venezia, Tate a Londra - Cao Fei (si pronuncia z&agrave;o f&eacute;i) presenta la mostra &ldquo;HX&rdquo; al Centre Pompidou, esplorazione a lungo termine del quartiere di Hongxia, polmone artistico di Pechino in preda alla gentrificazione, accompagnata da un film di fantascienza, &ldquo;Nova&rdquo;. Una pratica immersiva, &egrave; questa la caratteristica distintiva dell&rsquo;artista, che si lascia coinvolgere con una grande pazienza. Nel 2006 lancia uno dei suoi lavori pi&ugrave; importanti, &ldquo;Whose Utopia?&rdquo;, poetica immersione in una fabbrica di lampadine nel delta del Fiume delle Perle, la regione pi&ugrave; economicamente dinamica della Cina. Mette in scena gli operai che, nel loro ambiente di lavoro, incarnano le loro aspirazioni pi&ugrave; nascoste. Si vede cos&igrave; una ragazza vestita da ballerina che danza in mezzo alle macchine o un uomo che suona la chitarra elettrica. Cao Fei ha inviato pi&ugrave; di 500 questionari ai dipendenti. Li interroga, tra le altre cose, &laquo;sui loro interessi, su ci&ograve; a cui pensano prima di uscire per andare al lavoro&raquo;, spiega l&rsquo;artista. Organizza atelier con alcuni partecipanti e chiede loro di dipingere la loro visione dell&rsquo;utopia. Una &ldquo;contraddizione&rdquo; tra questa percezione individuale e un ambiente a volte alienante, dove &laquo;i letti sovrapposti dei dormitori sono gli unici spazi privati, meno di due metri quadri&raquo;. Nel 2018 l&rsquo;artista gira &ldquo;Asia One&rdquo; nel primo centro di smistamento completamente automatizzato al mondo. &laquo;La tecnologia si &egrave; sviluppata al di l&agrave; di ogni immaginazione&raquo;, osserva. Qui, solo due esseri umani supervisionano lo stabilimento e i robot sono ormai capaci di attribuire loro delle &ldquo;percentuali di fiducia&rdquo;. Cao Fei si protegge da qualsiasi legame con il sistema di valutazione dei cittadini predisposto nel 2018 dallo Stato cinese. &laquo;Volevo mostrare che i robot hanno delle procedure proprie, semplici e arbitrarie. Questo pone dei problemi perch&eacute; &egrave; un sistema sociale quello che si basa su questi meccanismi in bianco e nero e su una valutazione elettronica&raquo;. Dopo la produzione industriale, l&rsquo;artista si &egrave; interessata all&rsquo;ambiente carcerario per &ldquo;Prison Architect&rdquo; (2018), girato in un ex centro di detenzione. &Egrave; questo il filo conduttore della sua pratica, in cui ama &laquo;fondare la parte creativa su un margine di realt&agrave;, dispiegare un racconto d&rsquo;invenzione su una struttura reale&raquo;.

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Foto: Lin Shu. 
Styling: Yuan Qian. 
Assistente stylist: Jianli Wang. 
Assistente studio: Xu Zhengyue. 
Hair stylist e Make up artist: Guo Fei.

#Art: intervista a Cao Fei

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